Delitto don Pilade

 

don pilade nicoletti 1

Don Pilade Nicoletti


La vittima

Don Pilade Nicoletti 64 anni, nasce a Querceta nel 1921 da famiglia ben nota nella zona della Versilia, prima di prendere i voti, durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipa alla campagna in Russia come artigliere. Questo evento lo segna in modo particolare, tanto da renderlo molto vicino ai bisogni della gente.
Da sempre impegnato nell’Azione Cattolica, prima di partire per la Russia, il Nicoletti conoscie Mario Estivi, direttore di seminario, subito dopo la guerra decide di
vestire gli abiti talari.
Viene ordinato sacerdote nei primi anni ‘50, Cappellano a Pontedera, poi parroco a Vicopisano, giunge alla parrocchia di San Bartolomeo a Ponterosso nel 1967.
Di statura imponente, dal carattere affabile, riesce a farsi apprezzare e ben volere da tutti i parrocchiani, che lo stimano per le sue schiette qualità umane e di sacerdote. E’ un sacerdote energico, don Pilade, che ama intrattenersi con i fedeli raccontando numerose storie, come quella in cui ha sorpreso una zingara a rubare in canonica e questa, vedendosi scoperta, ha tentato di corrompere il prete alzandosi la gonna:

"Ma vai via!" le disse il secardote.

Negli ultmi tempi in parrocchia sono avvenuti numerosi furti, ma Don Pilade non si è dato per vinto e ha messo addirittura un cartello sulla porta in cui vi è
scritto:

Signori ladri, non cercate di entrare tanto non c’è più nulla!

Don Pilade prende anche delle precauzioni, inferriate alle porte e una grande cancellata sul retro.

   
                                                   

  Don Pilade Nicoletti in alcune fotografie

Il delitto


I fatti si svolgono giovedì 17 ottobre 1985 alle 18.40, nella canonica di san Bartolomeo. Nei minuti precedenti all’evento, Don Pilade offre al propria benedizione ad una coppia di promessi sposi che si sono recati da lui per concordare i particolari della cerimonia di nozze, che si sarebbe tenuta domenica 20 ottobre 1985.
I due giovani si trovano nello studio del parroco, a testimoniarlo alcuni parrocchiani che sono andati a parlare con Don Pilade, trovandolo intento ad
ascoltare la coppia.
Dopo aver congedato i fidanzati il prete avverte qualcosa di strano che sta avvenendo al piano superiore e sale scale per andare a controllare.
Ma Don Pilade non è il primo ad avvertire dei rumori al primo piano, Maurizio Stagetti, studente universitario di 24 anni, riposa nella camera del sacerdote
e avverte dei rumori sospetti. Appena apre la porta che da sul corridoio si imbatte in due persone armate che indossano delle calze nere sul volto (non si sa se tutt’e due i rapinatori erano armati o se solo uno di loro lo fosse stato). I due lo spingono nella camera e gli intimano di fare silenzio e consegnargli tutto il denaro. Allarmato da questi rumori Don Pilade appare in corridoio e viene anche lui spinto nella camera dai malviventi. I due continuano a chiedere con insistenza di consergnargli tutto il denaro che hanno, Maurizio viene aggredito con il calcio della pistola e colpito violentemente al volto.
Due colpi d’arma da fuoco riecheggiano nella stanza, uno dei proiettili colpisce il prete in fronte uccidendolo all’istante. Maurizio viene legato con della corda elastica
e i due rapinatori, diventati assassini, fuggono dalla canonica disinteressandosi del denaro che è nelle tasche del sacerdote e che ammonta a circa 200 mila lire.
Don Pilade Nicoletti muore sul colpo, Maurizio invece dopo alcuni minuti riesce a liberarsi dalla stretta della corda che è stata legata in un modo tutt’altro che
professionale. Si avvicina alla finesta e cerca aiuto gridando. Ad avvertirlo alcuni lavoratori di attività vicine, che si precipitano all’interno della canonica. Una volta
soccorso il ragazzo e constatato la morte del prete, chiamano la Croce Verde e i Carabinieri.
Le informazioni di ciò che è avvenuto all’interno della camera del sacerdote, sono le più disparate, si pensa che il prete abbia tentato di reagire ai rapinatori e che gli
abbiano sparato a causa della reazione che ha avuto. Altri dicono che durante la colluttazione il prete abbia tolto la calza dal volto di uno dei rapinatori e che loro
sentendosi riconosciuti hanno aperto il fuoco.
L’unico testimone che sa come sono andate veramente le cose è Maurizio Stageti, ricoverato all’ospedale Tabaracci di Viareggio per una contusione allo zigomo e al naso con 15 giorni di prognosi.
I Carabinieri prendono la sua deposizione le mattina successiva direttamente in ospedale.

Dalle prime testimonianze nessuno dei vicini sembra aver sentito nulla prima che lo Stagetti si affacciasse alla finestra, non hanno sentito ne grida, ne i colpi di pistola e nessuno ha visto fuggire o entrare i rapinatori. In un primo tempo alcune testimonianze individuano un uomo e una donna entrare in canonica dalla porta
principale, ma ci vuole veramente poco tempo ad intuire che si tratta dei fidanzati che sono venuti parlare con il sacerdote del loro matrimonio.


Via d’ingresso e via di fuga dei malviventi

Per prima cosa occorre individuare quali sono i punti in cui i ladri sono riuisciti ad entrare nella canonica e in quale modo siano usciti senza essere stati notati.

Ingresso della canonica


Sono tre le ipotesi degli inquirenti sulle modalità di ingresso in canonica dei malviventi:

1)Dalla porta principale, quella rivolta sulla via Aurelia. Questa porta si chiude automaticamente e può essere aperta soltanto da un interruttore che si trova
all’interno dell’edificio o dalla chiave. L’unico modo per i ladri di entrare dalla canonica dalla porta principale è nell’eventualità che la coppia di fidanzati uscendo dall’ingresso principale, l’abbia dimenticata aperta o socchiusa.

2) Dalla finestra della camera del sacerdote.

3) Dalla porta secondaria sul retro dell’edificio.

Le nostre considerazioni:

1) La porta principale conduce proprio al corridoio sul quale dà lo studio di don Pilade, per raggiungere il primo piano il ladri sarebbero dovuti passare
obbligatoriamente da lì e il parrocho si sarebbe accorto della loro presenza.
Inoltre la porta sarebbe rimasta aperta per una coincidenza fortuita.

2) La finestra al primo piano è quasi da escludere, avrebbero dovuto utilizzare una corda e nonostante l’oscurità incombente, la possibilità di essere avvistati
sarebbe stata molto alta. Inoltre in camera, si trova l’unico testimone, Maurizio Stagetti.

3) La porticina retrostante affaccia su un piccolo cortile protetto da un robusto cancello in ferro che il sacerdote tiene sempre chiuso, ma che pare
nell’occasione sia stato trovato solamente accostato. Chi conosce Don Pilade sa che il cancelletto viene tenuto chiuso soltanto la sera o quando il
sacerdote usce dalla canonica. E’ quasi una certezza quindi che i ladri sono passati dalla porta sul retro per entrare nella canonica. Secondo le
informazioni in nostro possesso possiamo dire che il cancelletto si trova aperta perché non è ancora notte e perché Don Pilade si trova in canonica.


Da dove sono usciti i rapinatori?

Sembra facile rispondere anche a questa domanda. In uno stato d’animo agitato avranno fatto la stessa strada che hanno utilizzato all’andata senza arrischiarsi di
cercare ulteriori soluzioni. Si tratta anche della scelta più logica, se fossero usciti dalla porta principale si sarebbero trovati sulla statale Aurelia, sotto gli occhi di tutti.
Sul retro invece si passa più inosservati.
Nessun testimone dichiarerà di aver visto i rapinatori fuggire!

                          
                             
ingresso principale della canonica 



Finestra della camera di don Pilade Nicoletti

 

Dati sul reperto autoptico di Don Pilade Nicoletti

L’autopsia sul corpo del parroco avviene venerdì 18 ottobre 1985 e si conclude dopo le 19 nella sala mortuaria dell’ospedale Campo di Marte di Lucca, la morte di
don Pilade Nicoletti è avvenuta a causa di un unico proiettile calibro 22 che ha attraversato la scatola cranica fermandosi a pochi centimetri dalla nuca.
L’autopsia è eseguita dal dottor Gilberto Martinelli, alla presenza del sostituto procuratore Pupa, l’esperto balistico Gastone Fognani e il Maresciallo Milani della
squadra di Polizia giudiziaria di Lucca.
Sul corpo di don Pilade vengono evidenziate escoriazioni al volto e alle mani, segno evidente della colluttazione con i malviventi.

Fonte: quotidiano La Nazione.

Corpo di don Pilade Nicoletti all'obitorio



Maurizio Stagetti

Maurizio Stagetti ha 26 anni, è una studente universitario, gli mancano pochi esami alla laurea in economia e commercio. E’ orfano di padre dall’età di undici anni e ha
instaurato un forte legame d’amicizia con don Pilade Nicoletti. Il ragazzo nel pomeriggio si reca spesso in canonica per prepararsi agli esami e per tener
compagnia al sacerdote. La mattina di venerdì viene interrogato dai Carabinieri per cinque ore.

Cosa ci faceva in camera di Don Pialde?
Secondo le sue dichiarazioni, lo Stagetti sta dormendo. Dopo aver studiato il pomeriggio
nella canonica ha deciso di riposarsi utilizzando il letto di Don Pilade. Il referto medico parla di 15 giorni di prognosi, il ragazzo ha riportato ematomi al
naso e allo zigomo sinistro, non ha riportato alcun genere di lesioni e di fratture.
Riporteremo la testimonianza di Maurizio Stagetti sulla vicenda in seguito




 
Testimonianze

Lo zio dello Stagetti parla ai quotidiani del nipote e ci fornisce qualche altra informazione su di lui:

Maurizio frequenta l’ultimo anno di economia e commercio deve sostenere ancora due esami e potrà laurearsi. Molto di quello che è riuscito a fare lo deve anche a don Pilade che, fin da quando il ragazzo ha perso il padre, all’età di undici anni, lo ha accolto nella sua casa seguendolo negli studi ed amandolo con sincerità. Andava
molto spesso a San Bartolomeo, soprattutto per studiare, la canonica era diventata la sua seconda casa. Come è possibile che succedano delle cose così?

La coppia di fidanzati, Giacinto Cerea di Gallena e Maria Patrizia Frati di Pietrasanta, dichiarano di non aver notato niente di sospetto. Neanche la signora
Lombardi, che ha fatto visita al sacerdote nel mentre è in compagnia della coppia.

Maria Lombardi una delle ultime persone ad aver visto Don Pilade vivo, racconta:




Maria Lombardi

“Sono entrata in canonica e ho trovato il sacerdote a colloquio con una coppia del posto che domenica deve sposarsi. Non c’era nessun altro.”

Pier Paolo Viacava 25 anni, studente universitario di economia e commercio, è amico di Maurizio, con il quale negli ultimi due anni studia in canonica, anche lui è amico di don Pilade. Il giorno del delitto, mezz’ora prima che il parroco venga ucciso, Paolo Viacava si reca dal sacerdote:

“Studiavamo li in canonica tutti i giorni. E’ un posto tranquillo, li nessuno ci dava noia e allo stesso tempo tenevamo compagnia a don Pilade. Era un uomo molto
buono, un grande amico. Ieri sera (giovedì) ero andato a parlargli un attimo, subito dopo le 18, ed avevo visto i due sposi seduti nello studio. Poi me n’ero andato, in
pratica, qualche minuto prima che i due giovani uscissero ed entrassero i ladri".

Pier Paolo Viacava da assiduo frequentatore della canonica ci tiene a dire la sua su dove i ladri sono entrati:

“Penso di no (dice riguardo alla chiusura della porta da parte della coppia di fidanzati). Perché Don Pilade aveva fatto costruire un cancello proprio a protezione
della porta sul retro, e lo teneva sempre, costantemente chiuso.”

“Per entrare dalla finestra del bagno c’è bisogno almeno di una corda. Secondo me non sono entrati dalla parte della ferrovia.”

Secondo lui, per esclusione, i ladri sono entrati dall’ingresso principale.
Andrea Viacava parla di Don Pilade:

“Aveva fatto la Guerra e sapeva molte cose. Conosceva la vita, gli aspetti positivi e quelli negativi. Comprendeva.”

Il ritrovamento del cadavere secondo le testimonianze

Italo Frediani è un artigiano di Pozzi con il laboratorio proprio davanti alla chiesa, dice:

“Verso le 18.40 ero davanti al mio laboratorio e ricordo di aver visto due giovani avviarsi verso la canonica; per me erano un uomo e una donna. Ma mi porgevano le spalle e non li ho visti in faccia.” (questa dichiarazione verrà smentita sui quotidiani il giorno successivo).

“Sono passati sette o otto minuti e da una delle finestre del primo piano ho visto un giovane con il volto insanguinato. Gridava aiuto, diceva che c’erano i ladri e che
avevano sparato. Non ho perso tempo a riflettere e mi sono precipitato verso la canonica. Dei banditi nessuna traccia. Non ho visto nessuno; forse erano già fuggiti,
senza che io me ne accorgessi. Ho trovato, invece, quel giovane che era spesso a lezione da Don Pilade, col volto coperto di sangue.”

Dal quotidiano Il Tirreno, Italo Frediani fa un altro racconto del ritrovamento del cadavere di Don Pilade:

“Quando sono arrivato alla canonica una donna mi ha detto: ‘dentro è successo qualcosa’. La porta era chiusa. Allora ho iniziato a battere alla porta ed urlare: ‘Aprite, aprite!’ e Maurizio cercando di raccogliere le sue ultime forze ce l’ha fatta a raggiungere l’interruttore e far scattare la serratura.”

Il Frediani sale le scale e descrive la seguente scena:

“Maurizio era sdraiato sul letto con la testa che gli penzolava giù. Sembrava senza vita. Don Pilade era a terra, tra l’armadio ed il letto. Un rivolo di sangue che gli usciva dal volto. Allora sono corso fuori ed ho avvertito Giancarlo Bertozzi, il mio collega, ed abbiamo dato l’allarme.”

Giancarlo Bertozzi il collega del Frediani:

“Ho chiamato subito la Croce Verde di Pietrasanta che è arrivata con due ambulanze: uno dopo l’altro i volontari hanno caricato il parroco, che speravano fosse ancora in vita, ed il giovane.”

“Non abbiamo visto niente. Io qualche minuto prima, mentre ero impegnato a scaricare le casse ho notato un uomo e una donna davanti alla chiesa. Ma non posso certo dire che erano loro.”

E infatti non lo erano, erano Giacinto Cerea e Maria Patrizia Frati, la coppia che si è recata da Don Pilade per il matrimonio della domenica.

Camera di don Pilade Nicoletti
 

Le indagini


Alla chiamata dei soccorsi intervengono sul luogo del delitto gli uomini del Nucleo speciale della Compagnia dei Carabinieri e gli agenti del commissariato di Viareggio.

Viene avvertito il sostituto procuratore Dottor Pupa. Le indagini si concentrano sulla malavita locale, da alcuni giorni le Forze dell’Ordine stanno indagando sul furto di una pistola compiuto in un appartamento di Querceta.
Giovedì notte la Versilia viene illuminata dai lampeggianti delle macchine di Polizia e Carabinieri, dalle 19 alle 24 verificano l’alibi di più di trenta pregiudicati e
tossicodipoendenti.
Si tratta della piccola, ma pur sempre pericolosa malavita locale, rapinatori di basso livello, ma ultimamente con grande disponibilità di armi, tanti di loro frequentano il mercato della droga, perché spacciatori o ancor di più tossicodipoendenti.
Don Pilade negli ultimi mesi ha subito numerosi furti, in tutto quasi una decina, l’ultimo ad opera di due nomadi. Lo hanno anche sentito lamentarsene per strada:

“Ora basta! La prossima volta che li pesco ci penso io!”

Nel primo momento le indagini sul delitto seguono la traccia collegata ad un tentato furto, quello avvenuto mezz’ora prima nella canonica della parrocchia del santissimo Sacramento. Il testimone principale di questro evento, don Danilo Angeli, parroco delle borgate Africa e Macelli, distanti poco più di un chilometro da Ponterosso.
Don Danilo è noto per il suo fervore nelle attività di carattere sociale e culturale. Insegna in un istituto tecnico cittadino ed è preside del Centro Studi Fratelli Meccheri. E’ anche lui un sacerdote di iniziativa e di temperamento energico.
Proprio questo suo carattere l’ha portato ad affrontare i ladri, sorpresi nel mentre
stanno fuggendo.
Racconta Don Danilo:

“Erano le 18 e mi trovavo nello studio quando ho visto alcune ombre sfilare davanti alla porta. Stavano uscendo. Sono riuscito a fermare un giovane sui 25 anni, mentre il suo complice ha fatto in tempo a dileguarsi. L’ho preso per il petto. Lui mi ha invitato a mantenere la calma, lo stesso ha fatto la mia veccchia madre. Solo allora l’ho lasciato andare.”

L’aspetto del malvivente era giovanile; avevano entrambi il volto scoperto, non sono sicuro di poterli riconoscere. Nel corridoio c’era poca luce. Mezz’ora dopo ho telefonato alla parrocchia di San Bartolomeo. Dovevo parlare con Don Pilade. Dall’altra parte mi ha risposto la voce di un uomo giovanile ‘ Se lei è don Danilo venga subito – mi ha detto – Don Pilade è stato aggredito, forse è morto.’ Sono arrivato all’ospedale che lo stavano scendendo dall’ambulanza. Gli ho somministrato l’estrema unzione e sono stato con lui fino a quando non l’hanno portato in cappellina.”

“Si le autorità hanno riservato parecchia attenzione al mio racconto. Ora però non chiedetemi altro, sono vincolato dal segreto istruttorio.”

Dal quotidiano Il Tirreno si fa riferimento ad una certa descrizione dei rapinatori che non corrisponde alle parole sopra riportate in altro quotidiano di informazioni. Gli
autori del tentato furto alla parrocchia della santissimo Annunziata di Pietrasanta erano due uomini sui quarant’anni, robusti e tarchiati, uno di loro indossa un giubbotto chiaro. Entrambi a volto scoperto, non sono persone del posto. Sono fuggiti in moto e sono stati notati più tardi nella zona di Pontestrada, una località
vicina.
Le Forze dell’Ordine concordano sull’ipotesi che il tentato furto alla santissima Annunziata di Pietrasanta sia collegato a quello della canonica di san Bartolomeo. A suffragare questa ricostruzione ci sono alcuni dettagli tra la testimonianza di don Danilo D’angelo e Maurizio Stagetti. Entrambi hanno notato che uno dei rapinatori è
vestito con un giubbetto chiaro, inoltre le descrizioni fisiche sembrano corrispondere.


La Testimonianza di Maurizio Stagetti

Venerdì 18 ottobre 1985 inizia l’interrogatorio di Maurizio Stagetti e si protrae dalle ore 10.00 alle ore 13.30, i Carabinieri ascoltano il giovane che dopo racconta la sua versione dei fatti anche ai cronisti:

“Ero stanco così ero andato in camera a riposare, su al primo piano. Poi verso le 18.30 mi sono alzato e quando sono arrivato alla porta che si apre sul corridoio, mi sono trovato davanti quei due: armi in pugno, mi hanno spinto dentro, mentre io cercavo di uscire. Ha comiciato ad urlare: ‘ Dacci i soldi! Dacci i soldi! ’
Poi è arrivato Don Pilade: come è stato a due passi dalla porta, l’hanno tirato dentro ed hanno continuato a chiedere il denaro. Tutto il denaro che avevamo.
D’un tratto senza che quasi me ne rendessi conto, mi hanno colpito: duramente con il calcio della pistola. Un proiettile è partito e mi è sibilato sul volto. Allora Don Pilade ha reagito, gli ha gridato: ‘ Delinquenti. ’
Ed uno di loro, che aveva perso la testa, si è girato e gli ha sparato: lui è caduto a terra in una pozza di sangue. Poi mi hanno legato con una corda elastica al letto e
sono fuggiti. Non appena ce l’ho fatta a liberarmi sono andato alla finestra per chiedere aiuto.”

Le piste della droga e della microcriminalità


- Droga e tossicodipendenza

Le piste seguite si concentrano tra due mondi che molto spesso si intersecano, quello della droga e quello della microcriminalità. E’ evidente infatti che la scelta del
luogo obbiettivo della rapina, la canonica, è stato fatto per la semplicità nell’introdursi al suo interno. Non si tratta però di una banca. Il bottino che si può trovare non
può che essere che magro, in molti casi i rischi presi (anche se lievi) possono non valere la candela. Altra cosa, se la ricerca del denaro viene fatta con lo scopo di acquistare una dose di droga.
A parlarci di questa eventualità viene intervistato Franco Cancellotti del Centro disintossicazioni dell’ospedale “Tabaracci” di Viareggio:

“Non sono tutti delinquenti i tossicodipendenti. A volte però si colpevolizza questa categoria con troppa superficialità. Sono capri espiatori facili. Invece ci sono cose che vanno sfatate come ad esempio gli effetti della crisi d’astinenza che non sono così pericolosi come si crede. Inoltre bisogna distinguere, perché non tutte le sostanze provocano le medesime reazioni. L’eroinomane fa male solo a se stesso, mentre conl’assunzione di cocaina si può avere una perdita di controllo. C’è poi il
tossicodipendente occasionale che si riempie di anfetaminici prima di fare una rapina.”

I due responsabili del delitto potrebbero aver agito sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, questo spiegarebbe la reazione spropositata culminante con la morte di don Pilade.
Non bisogna però sottovalutare l’elemento “paura” che potrebbe aver influenzato due giovani rapinatori inesperti, Lauro Agostini psicologo ha un’opinione riguardo a questa eventualità:

“La paura è un elemento dominante e rende l’individuo incapace di gestire la situazione. Un’azione come questa, è dovuta ad un’abnorme emotività di fronte ad un fatto non previsto. Va considerato anche che da un sacerdote ci si aspetta un comportamento più remissivo. Comunque, mi pare che è stata un’azione compiuta da due soggetti con personalità labile e certo dilettanti.”

-Furti e microcriminalità

Dalle parole di alcuni sacerdoti della piana lucchese, apprendiamo che le parrocchie sono oggetto di molte attenzioni da parte della criminalità locale, con tutta
probabilità non ci si aspetta da un prete o da una perpetua, chissà quale reazione.
Il Preposto di Pietrasanta don Renato Magni, dice che numerose volte la canonica in via XX settembre è stata visitata dai ladri:

“Una volta dei giovani sono riusciti ad entrare in canonica. Avevano scardinato la porta dell’archivio. Ma furono messi in fuga dalla perpetua che accese la luce e vide
due ombre riguadagnare l’uscita. Non mancò nulla.
Un’altra volta, una domenica sera, dopo la messa vespertina, altri due giovani furono sorpresi davanti alla porta dell’archivio, ma anche quella volta fuggirono
senza prendere niente.
Comunque, dobbiamo stare molto attenti a non lasciare la canonica senza custodia.

Don Antonio Vincenti, parroco di Cardoso di Stazzema, dice che:

“Nelle zone montane tutto si riduce a qualche cassetta delle offerte scassinata, per toglierci i pochi spiccioli. I furti maggiori sono avvenuti nelle Cappelle e nelle
marginette, per togliere oggetti ritenuti antichi e di antiquariato. Per la verità qualche bell’oggetto di artigianato locale, soprattutto farnocchino, è stato rubato,
ma furti clamorosi non se ne riscontra.
Pruno, Volegno, Cardoso, Pontestazzemese, hanno chiese e parrocchie collocate nell’unica strada percorribile. Forse è per questo che i malviventi non rischiano tanto:
non ci sono altre vie per la fuga.”

Don Giuseppe Bongi, della chiesa di San Rocco a Capezzano Monte:

“Il furto più grosso la chiesa l’ha subita lo scorso anno ai primi di maggio. Furono portati via dodici candelabri argentati e quattro angeli collocati ai lati del trono.
Erano abbastanza antichi e di pregio, anche se di artigianato locale. Ora però la porta della chiesa e della parrocchia sono a prova di ladro. Per aprirle dovrebbero
fare dei rumori tali che li sentirebbero in tutto il paese.”

Don Danilo D’angelo in proposito dice:

“In cinque anni molte volte sono avvenuti dei tentativi nella chiesa. Due volte in una sola settimana in canonica. Una volta è stata la perpetua a trovare in salotto e
mettere in fuga un giovane che venne poi arrestato dai Carabinieri. Ritengo che la Versilia abbia le stesse problematiche delle grandi metropoli. Con il divario del
tenore di vita in estate e in inverno, con l’afflusso del turismo, c’è una complessità di problmei tra cui, mafia, droga e malavita assimilano la nostra zona alle periferie di Roma e Milano. La Versilia non è più la zona tranquilla, la zona paese, la zona rifugio; qui c’è il bene e il male come nelle grandi città, per cui rintengo che
meriterebbe un’analisi sociologica, più che un’affrettata considerazione.
Ma quello che più sconcerta è che mezz’ora prima del tragico episodio, che ha provocato la morte di don Nicoletti, due giovani sono stati qui poi sono fuggiti; non
so se sono i soliti che hanno ucciso il parroco.”


Un caso simile avvenuto dieci anni prima

Dieci anni prima del delitto di Don Pilade, nelle pagine del quotidiano Il Tirreno, si fa riferimento ad un caso simile di cui non si conosce il colpevole. Nella località
Seimiglia di Camaiore, una mattina don Antonio Carrà, 80 anni, che vive da solo, ode dei rumori al pian terreno della sua casa. Arrivato al piano di sotto si trova di fronte due persone che gli intimano di cederhgli del denaro. Il povero prete non ha niente da offrire e i due, dopo aver preso una sbarra di ferro dalle inferriate della finestra dalla quale erano entrati, lo colpiscono violentemente al capo, lasciandolo a terra in una pozza di sangue.
I responsabili non sono mai stati scoperti e don Antonio Carrà, è morto pochi mesi dopo a causa dei traumi subiti.
Imbattendoci in questo delitto per caso, consideriamo di inserirlo al più presto nel nostro archivio.


In conclusione

Purtroppo i dati in nostro possesso si sono rivelati troppo scarsi per arrivare a formulare qualche ipotesi, ogni cosa che potremmo dire su questo delitto potrebbe
essere allo stesso modo smentita. Siamo riusciti a malapena a descrivere le vie di accesso e di fuga dei malviventi alla canonica, ma tutto ciò che è accaduto
successivamente possiamo apprenderlo solo dalle parole dello Stagetti.
Non abbiamo altri dati per giudicare l’attendibilità o meno del testimone, poiché sono assenti tutti gli indizi recuperati nei rilievi di Polizia Giudiziaria, con i quali
andrebbero comparate le parole dell’unico testimone. Quindi per prima cosa dobbiamo prendere per buona la testimonianza.
Anche in questo modo, gli elementi in nostro possesso non bastano! Non abbiamo un’attendibile descrizione dei rapinatori. Lo Stagetti nella sua testimonianza non li
vede in volto, celato dalle calze e manca anche una descrizione fisica. L’unica descrizione fornita ai cronisti la da don Danilo D’Angelo, che ha visto due persone
fuggire dalla canonica della santissima Annunziata, mezz’ora prima che si compisse il delitto ai danni di Don Pilade. Non sappiamo con certezza se sono le persone che ha visto don Danilo ad aver ucciso il sacerdote di Ponterosso. Sappiamo che una delle persone che ha visto porta un giubbotto chiaro, come uno dei rapinatori.
Sappiamo che le descrizioni fisiche delle due persone fatte dal prete e dallo Stagetti corrispondono, ma non sappiamo su quali elementi.
Di conseguenza dovremmo prendere per buona anche la possibilità che gli autori del delitto siano anche le stesse persone ad aver tentato un furto nella zona, mezz’ora prima.
Solo in questo modo possiamo avere una parziale descrizione (per altro contraddittoria in alcuni punti) dei malviventi, fatta da don Danilo D’Angelo.
I due rapinatori sono giovani, secondo la testimonianza fatta dal parroco a La Nazione, sono sui quarant’anni, in quella fatta a Il Tirreno, uno di loro ha un giubbetto chiaro, sono alti rispettivamente 1,80m circa e 1,75m circa, accento versiliese non marcato, fuggiti a bordo di una moto.
Nonostante aver preso per buoni due punti fondamentali della vicenda non abbiamo comunque nulla in mano, neanche una precisa descrizione e trovandoci in questa situazione non possiamo che archiviare il caso e lasciarlo aperto in caso di visione di fonti attendibili o intervista di testimoni.


Misteri di Lucca