Delitto Fuloni
“Io non ho mai fatto brutti incontri, qualche collega si purtroppo. L'importante, in quei casi, è riuscire a mantenere la calma.”
“Il mio lavoro vale quanto gli altri, come vendere un pacchetto di sigarette o un etto di prosciutto”.
“In fondo alla giornata il guadagno c'è sempre. Comincio la mattina intorno alle 11, mangio sul posto e vengo via la sera intorno alle 19. Se poi dopo cena non ho niente da fare ci ritorno. In fondo al mese arrivo a guadagnare in media, tra i 13 e i 15 milioni.”
“Pensa al futuro? Si è fatta una pensione?”
“Il mio futuro è domani mattina.”
- Stralci di intervista a Margherita Fuloni (in forma anonima) per il quotidiano La Nazione data di uscita il 9 luglio 1997
La vittima
Margherita Fuloni nasce a Massa ma presto si trasferisce a Viareggio, centro di tutte le sue attività. Di lavoro Margherita fa la prostituta e più precisamente è una delle “signorine dei camper dell'amore”, vengono chiamate così le ragazze che esercitano la professione sulla variante Aurelia poco prima di Torre del Lago.
Alle spalle ha un matrimonio finito con un ergastolano famoso dalle nostre parti, tale Massimo Battini, condannato all'ergastolo per la strage di Querceta in cui persero la vita tre poliziotti in servizio il 22 ottobre 1975.
Margherita è considerata dalle colleghe come una professionista esperta, per la sua filosofia di vita non si sarebbe mai opposta a chi minacciandola avrebbe tentato di rapinarla del denaro guadagnato.
Il Maresciallo del Nucleo Investigativo Giulio Lazzeri, ne ricorda l'umanità fuori dal comune:
“Ebbe una storia con un ragazzo vent'anni più giovane di lei, che si ammalò di leucemia. Marghè lo curò a sue spese.”
Una vita tragica e sfortunata quella di Margherita, costellata di tragedie che l'hanno segnata nel corpo e nello spirito, purtroppo la sua morte va ad aggiungersi alle pagine più nere della cronaca lucchese degli anni '90, oggi verrebbe giustamente definito “femminicidio”.
La strage di Querceta
Anche se la vicenda della strage di Querceta sembra non essere oggetto d'interesse nelle indagini sul delitto di Margherita Fuloni, apriamo comunque una piccola parentesi per descrivere a grandi linee l'avvenimento.
Il 22 ottobre 1975 a seguito delle indagini condotte dalla questura di La Spezia, unitamente al commissariato di Viareggio, alle ore 6.30 del mattino, venivano effettuate dal personale delle questure di La Spezia e Lucca, della Criminalpol e del Commissariato di Viareggio, alcune perquisizioni nella località di Querceta, allo scopo di individuare un pericoloso evaso ed un traffico di armi e munizioni.
Una squadra di investigatori si incaricò della perquisizione di un'abitazione in costruzione in via del Lago n.17, accanto ad un bosco e ad una palude, ritenuta centro operativo di un gruppo criminale responsabile di rapine tra Liguria e Toscana.
Nel momento in cui i poliziotti si avvicinano all'edificio, da una tenda utilizzata come porta d'ingresso, si affaccia un giovane: “Chi siete? Che cosa volete?”
Gli agenti dopo essersi qualificati entrano nell'abitazione. Nel momento in cui il dirigente della squadra mobile che coordina le indagini si reca in auto a prendere il decreto di perquisizione, il giovane parzialmente vestito dice agli agenti che si sarebbe spostato nella stanza a fianco per mettersi qualcosa addosso, i poliziotti lo seguono senza perderlo di vista. Nella stanza però si nasconde un pericoloso evaso che armato di mitra apre il fuoco sui poliziotti uccidendo sul colpo l'appuntato Femiano e l'appuntato Lombardi. Il brigadiere Mussi, ferito al braccio e alla testa, tenta invano di guadagnare l'uscita, ma viene raggiunto da altre raffiche di mitra. Il complice, anche lui armato di rivoltella apre il fuoco sul Maresciallo Giovan Battista Crisci, ferendolo gravemente. I due malviventi tentano di darsi alla fuga gettandosi all'esterno, aprono il fuoco sparando all'impazzato e feriscono altri tre agenti, vedendosi però circondati si arrendano alle Forze dell'Ordine e chiedono pietà.
I due assassini risultano essere Massimo Battini e Giuseppe Federigi che si dichiarono appartenenti a movimenti politici di lotta armata.
Nell'operazione di perquisizione persero la vita l'Appuntato Femiano, l'Appuntato Lombardi e il Brigadiere Mussi.
Il delitto del camper
Margherita Fuloni raggiunge il pronto soccorso dell'ospedale “Tabaracci” di Viareggio alle ore 16 circa del 4 agosto 1997. E' accompagnata da un'amica e collega che appena mezz'ora prima l'ha trovata riversa sul camper dove esercita la professione di prostituta, è stata aggredita, picchiata selvaggiamente e strangolata. L'aggressore l'ha lasciata sul pavimento del mezzo ancora in agonia, con tutta probabilità convinto di averla uccisa. Giunta all'ospedale i sanitari si accorgono immediatamente che il quadro è preoccupante, la donna perde addirittura conoscenza nel momento in cui viene sottoposta a Tac. Viene quindi ricoverata nel reparto rianimazione con prognosi riservata. A sera gli inquirenti le fanno visita per interrogarla sull'aggressione. La mattina di martedì 5 agosto 1997, il quadro neurologico di Margherita peggiora, accusa gravi difficoltà respiratorie. Però è lucida e sentendo la fine giungere, gesticolando fa capire ai medici che intende donare gli organi. Alle 12.30 l'encefalogramma piatto, il silenzio elettrico cerebrale, la mancanza di riflessi, l'assenza di respiro spontaneo fanno si che intervenga per i rilievi la Commissione rilevamento morte. Alle ore 15.24 viene dichiarata ufficialmente morta, sei ore dopo è sospesa l'attività di supporto. Da aggressione e rapina, le indagini diventano per omicidio.
La polemica sull'inizio delle indagini
Regina, leader del Movimento Transessuali
Giovedì 7 agosto “Regina”, leader del Movimento Transessuali della Versilia, nell'occasione diventata portavoce anche delle lucciole che frequentano la variante Aurelia, rilascia un'intervista ai quotidiani, in cui avanza delle perplessità sullo svolgimento iniziale delle indagini:
“I Carabinieri e la Polizia potevano muoversi con qualche ora d'anticipo e non solo ieri dopo che Margherita è stata dichiarata clinicamente morta”
“La mia non vuole essere un'accusa.” Ma al contrario suona chiaro che lo sia.
“Gli inquirenti avrebbero potuto ascoltare le ragazze con 24 ore d'anticipo, il ricordo dei movimenti di quel giorno potevano essere più freschi, più detagliati. A quest'ora l'assassino chissà dove sarà finito. Sono addolorata.”
“Siamo carne da macello, eppure anche noi abbiamo gli stessi diritti di tutta l'altra gente. Vogliamo essere protette, non possiamo rischiare la vita ogni giorno.”
“Mi rivolgo a tutte le ragazze: prestino attenzione a tutti i clienti, segnalino i personaggi sospetti, che hanno comportamenti strani, che manifestano una certa violenza. Una sorta di tam tam che può salvare altre vite. Margherita non era una pivellina, conosceva i rischi: chi l'ha ridotta in quel modo, deve essere un maniaco, un bruto.”
Non si fa attendere la risposta del Maresciallo Giulio Lazzeri che coordina le indagini del Nucleo Operativo:
“No comment, per adesso non c'è molto da dire. E non dite, come ha sostenuto Regina, il leader del movimento transessuali, che le indagini sono partite in ritardo: già da lunedì pomeriggio, eravamo impegnati a dare la caccia all'aggressore. Ma non avevamo molti elementi su cui muoversi.”
Giulio Lazzeri aveva ascoltato Margherita la sera di lunedì 4 agosto alle ore 21.30 unitamente ai suoi colleghi Salvagno e Pieraccini,riuscendo a parlare a gesti con la vittima:
“Non ha potuto dire molto, faceva fatica a muoversi: agitava le mani, qualcosa ci ha fatto intendere. Speriamo che sia sufficiente.”
Dai fatti riportati nei quotidiani si apprende che le Forze dell'Ordine erano impegnate nella ricerca dei criminali che avevano preso d'assalto la filiale di Viareggio della Cassa di Risparmio di Lucca. Ciò nonostante le indagini apparentemente sembrano partite subito. Tuttavia la deposizione di Margherita viene presa alle ore 21.30 è possibile che prima la donna non fosse in grado di parlare a causa delle ferite riportate.
E’ comunque interessante sapere dalle parole di Regina che l'interrogatorio delle colleghe di Margherita è avvenuto soltanto il giorno successivo all'aggressione.
La testimonianza della collega e un identikit
Una collega che lavora vicino alla Fuloni, accortasi che la donna si trova all’interno del camper da molto tempo, decide di aprire la porta del mezzo e rinviene riversa sul pavimento Margherita selvaggiamente pestata. Sarà la prima persona a prestarle soccorso accompagnandola all’ospedale “Tabaracci” di Viareggio.
Durante il viaggio l’amica della Fuloni è riuscita a carpire alcune informazioni dalle sue gesta, visto che la trachea era lesionata dal tentativo di strangolamento, riportiamo i fatti salienti
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L’aggressore non è un cliente abituale di Margherita;
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All’interno della borsetta, rinvenuta nel camper, c’era l’incasso della giornata che ammontava a 300.000 £;
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Prima di cadere riversa sul pavimento, Margherita ha opposto resistenza al suo aggressore;
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La descrizione dell’aggressore, alto circa 1,70m, corporatura robusta, capelli rossi, carnagione chiara, un accento non toscano;
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L’aggressore guida di un furgone bianco con cui si è allontanato sulla variante Aurelia in direzione Massa ;
Il luogo del delitto
Da luogo d’amore il camper di Marghé si è trasformato in una vera e propria scena del crimine, 20 metri quadrati che descrivono la lotta che ha avuto la donna con il proprio assassino. Nell’interno del camper c’è una grande confusione, il lettino è rovesciato e i pochi oggetti d’arredamento sono stati gettati sul pavimento. Vengono ritrovati alcuni indizi significativi ai fini delle indagini, la polizia scientifica rinviene tracce di sangue, capelli con attaccati frammenti di pelle e persino un preservativo usato nell’atto sessuale, avvenuto prima o durante l’aggressione. Sul pavimento del camper viene evidenziata l’impronta di un piede, di dimensioni diverse da quello della vittima. Il mezzo èposto sotto sequestro e i vari indizi analizzati per le opportune verifiche. Viene rinvenuto la borsetta della vittima contenete 300.000£, l’incasso della giornata.
Perizia autoptica
Il Dott. Gilberto Martinelli, incaricato dell’autopsia, porta a delle novità interessanti. La Fuloni non è morta a seguito dello strangolamento, ma questo ha solo aggravato il quadro generale, a determinarne la morta è stata una grave lesione cerebrale provocata dall’urto del cranio con qualche cosa di solido. La donna è stata inoltre soffocata a mani nude e pestata brutalmente con calci e pugni al volto. Margherita ha avuto sicuramente un rapporto sessuale prima o durante l’aggressione. Sotto le unghie della donna vengono individuate delle tracce di pelle e sangue, ad indicare che si è difesa durante l’attacco. Le tracce sono state recuperate e analizzate. Dai pochi elementi che abbiamo è impossibile determinare una dinamica certa dell’evento, tuttavia il medico legale ipotizza che la Fuloni sia stata afferrata per il collo e durante lo strangolamento, l’aggressore le abbia sbattuto con forza la testa sulla parete del camper facendole perdere conoscenza.
La lesione cerebrale nelle ore successive è diventata una ferita letale aggravata dalla anossia (mancanza di ossigenazione dei tessuti cerebrali dovuto allo strangolamento) e dalle percosse ricevute al volto.
L’interrogatorio delle colleghe
Molte delle prostitute che lavorano sulla variante Aurelia vengono sentite dalle Forze dell’Ordine, purtroppo solo il giorno successivo all’aggressione e non nell’immediatezza del fatto. Queste ricerche portano a galla altri reati che subiscono queste donne da parte di aguzzini senza scrupoli. La morte della Fuloni viene immediatamente associata ad un’altra vicenda che ha come sfondo l’ambiente della prostituzione versiliese, tutto nasce da una telefonata fatta da un cliente di un bagno di Forte dei Marmi alla stazione dei Carabinieri:
“Correte al Bagno...c’è una ragazza inseguita da due uomini: fate presto!”
I Carabinieri giunti sulla spiaggia individuano la giovane ragazza F. V. di origini albanese, 20 anni appena compiuti, fuggita dall’appartamento di Viareggio dove viveva col suo protettore. La fuga è in modo tempestivo, consigliata da un amico italiano che l’ha consigliata di prendere i suoi oggetti personali e fuggire. Purtroppo però il protettore è stato avvertito e l’ha inseguita per riportarla indietro. Il Comandante dei Carabinieri della Stazione di Forte dei Marmi, Maresciallo Bruno Cappelli, convince la ragazza e una sua amica (sempre di 20 anni e albanese) a denunciare i suoi aguzzini. Le ragazze sono state costrette ad emigrare con l’inganno, facendole credere che in Italia avrebbero fatto fortuna e trovato un buon lavoro. Per ben tre anni le due sono state costrette a prostituirsi prima in Puglia, poi in Toscana e a cedere agli uomini che le vessavano i soldi guadagnati ogni sera.
Gli sfruttatori si dimostrano essere a tutti gli effetti un’organizzazione criminale di Albanesi dediti allo sfruttamento della prostituzione e del traffico di essere umani, finiscono in galera Nika Koco, 27 anni di Valona, Seith Brego, 28 anni di Durazzo, altre tre persone, due albanesi e un italiano (O.A., 27 anni di Camaiore), per loro l’accusa è di favoreggiamento della prostituzione. L’arresto scatta in un appartamento di Torre del Lago, dove i due albanesi stanno contando l’incasso serale garantito da altre ragazze di vita, consistente in 5 milioni.
Proprio quest’ultimo particolare, che i due albanesi siano stai trovati a Torre del lago, può far avanzare alcune ipotesi sulla possibilità che qualcuno dei partecipanti a questa organizzazione possa essere l’autore del delitto di Margherita Fuloni. L’identikit però smentirebbe questa possibilità.
Alcuni particolari del delitto, da quotidiano
Le ipotesi
Le Forze dell’Ordine e in particolar modo i giornali sono andati a nozze su questo caso, immaginando le piste più disparate, in questo articolo ne riportiamo alcune.
- Il serial killer
L’ipotesi serial killer è sicuramente quella più fantasiosa e su cui i giornali hanno speso più parole, complice anche l’interessamento dell’ “Unità Analisi Crimini Violenti” (U.A.C.V) diretta dal questore Ruggero Perugini, per lungo tempo a capo della S.A.M. (Squadra Anti Mostro) che ha condotto le indagini su Pietro Pacciani e sui delitti del così detto “Mostro di Firenze”.
L’ipotesi suggestiva prevede la possibilità che l’aggressione da parte dello sconosciuto sia avvenuta nel mezzo del rapporto sessuale, in un raptus omicida che ha sorpreso la vittima e che è giunto al culmine con il tentativo di strangolamento.
Le voci su questo presunto serial killer mettono immediatamente in stato d’agitazione le lucciole della zona e a supportare questa tesi vengono evidenziate le numerose aggressioni avvenute sulla costa tirrenica nei confronti delle prostitute, negli ultimi anni.
Nonostante le indagini capillari su altri eventi simili in luoghi vicini e tempi recenti, nessuno di questi aggressori sembra corrispondere all’identikit dell’assassino di Marghé.
Qualche anno dopo la pista del serial killer viene timidamente rispolverata a seguito delle morti di alcune prostitute avvenute a Madonna dell’Acqua vicino a Pisa e all’ingresso della FI-PI-LI, a pochi chilometri di distanza da dove esercitava la professione Margherita Fuloni.
Le morti sono da attribuire tutti alla solita mano, Pino Cobianchi colui che venne soprannominato “Il Killer della FI-PI-LI”, un mistero italiano che studieremo a grandi linee nella sezione Blog dedicata ai Serial Killer.
- La rapina finita male
Mancano la borsetta e il denaro ivi contenuto, che ammonta a trecentomila lire, l’ipotesi più semplice e che salta subito alla mente degli inquirenti è che si tratti di una rapina finita male. Un’ipotesi un po’ labile se si pensa alla sproporzione dell’aggressione rispetto alla quantità di denaro rubato, tuttavia in alcuni dei casi analizzati effettivamente le prove ci hanno portato a ipotizzare questo movente, nonostante la quantità di denaro sparito sia scarso.
Va tenuto in considerazione che di fronte alle minacce dell’aggressore, Marghé potrebbe essersi rifiutata di consegnare il guadagno e tentando di reagire, questo potrebbe aver fatto infuriare il rapinatore e a quel punto sarebbe giustificata la sproporzione tra aggressione e furto (dal punto di vista del movente naturalmente).
Dalle parole delle colleghe e da quelle pronunciate direttamente dalla vittima in una intervista, questa eventualità viene immediatamente scartata:
Dice Margherita: “Io non ho mai fatto brutti incontri, qualche collega si purtroppo. L'importante, in quei casi, è riuscire a mantenere la calma.”
Dicono le colleghe: “Per istinto di conservazione: se qualcuno avesse voluto solo rapinarla. Margherita non si sarebbe mai opposta, quella era la sua filosofia di vita.”
“Di fronte ad un rapinatore Margherita non avrebbe reagito: ne siamo convinte. Era esperta. Sapeva come districarsi nei momenti difficile. Nessuno le voleva male.”
- Uccisa perché ha visto qualcosa
Marghé è stata forse testimone di qualche illecita attività fra bande, proprio per questo è stata aggredita e uccisa. Nella zona, da altri articoli di giornale, si intuisce che il racket della prostituzione è gestito da una banda di albanesi, senza scrupoli. E’ possibile che Margherita sia stata testimone dei maltrattamenti subiti dalle sue colleghe e abbia minacciato di denunciare la situazione?
Questa ipotesi è forse la più probabile visti gli ultimi sviluppi dell’indagine, in un articolo di giornale de “La Repubblica”, datato 13.08.2000Giampaolo Simi, scrittore, sceneggiatore e giornalista, fa le seguenti dichiarazioni:
«No, qui non si ricorda una vittima di un incidente stradale spiega . Qui c'era il camper dove Margherita Fuloni, detta "Marghè", riceveva i suoi clienti. Una professionista del sesso oltre la cinquantina, con una clientela di habitué. Chi l'aveva picchiata e strangolata, nel camper, quel pomeriggio di agosto del '98, se ne era uscito convinto di averla uccisa. Ma "Marghè" non era morta. Il giorno dopo si riebbe dal coma. Giusto il tempo di descrivere a gesti il suo assassino». Il Nucleo Operativo dei Carabinieri non tardò a risalire all'individuo descritto dalla Fuloni «ma nel frattempo qualcun altro era già arrivato. Qualcuno a cui l'omicida, un piccolo boss albanese il cui corpo venne rinvenuto nel Tevere, doveva aver fatto un grosso sgarro»
Da queste parole si intuisce che le forze dell’ordine conoscono il nome dell’aggressore di Marghè e che fa parte della banda di albanesi che sfruttano le prostitute della zona. Le informazioni di cui dispone il Simi sono state acquisite in modo informale direttamente dal Maresciallo Giulio Lazzeri, ad oggi in pensione.
Una chiacchierata con il Maresciallo Lazzeri
Per risolvere il mistero del delitto di Margherita Fuloni abbiamo deciso di intervistare il Mareasciallo Lazzeri, che al tempo dirigeva le indagini del Nucleo Operativo.
Lo incontriamo in un sabato mattina d’ottobre a Viareggio e finalmente dalle sue parole possiamo con certezza mettere una parola “fine” alla tragica morte di Marghé.
Il Maresciallo Lazzeri ci rivela che Marghé era una sua confidente e che in molte occasioni le sue informazioni si sono rivelate determinanti per risolvere delle indagini. In particolare ricorda un episodio in cui la Fuloni di notte scriveva in codice i nomi di alcuni suoi clienti che erano attenzionati con un gessetto su di un muro lungo un viale. La mattina successiva, il Maresciallo Lazzeri si annotava i nomi e cancellava le scritte dal muro.
Ci tiene molto a ricordare la grande umanità della donna , che ha avuto una vita difficile, piena di dolori, che l’avevano fortificata nel carattere fino a farla diventare una vera e propria decana per le sue colleghe di Torre del Lago.
Forse, proprio questa sua voglia di aiutare gli altri l’ha portata ad incontrare il suo assassino.
Le indagini sul delitto di Margherita Fuloni si erano arenate dopo alcuni mesi in cui si era sicuri di avere in mano la pista giusta. Da una testimonianza i Carabinieri erano arrivati ad individuare i proprietari di alcuni mezzi che erano stati notati nella piazzola di Marghé in orario compatibile con il delitto (la fotografia della descrizione della zona del delitto fatta da un testimone oculare è utile per capire quale direzione stessero prendendo le indagini).
Uno di questi sospettati abitava a Pisa e caso vuole che anche la sua fisionomia fosse simile alla descrizione dell’aggressore. Il soggetto coinvolto venne sottoposto ad indagini rigorose ma risultò essere totalmente estraneo al delitto, la sua estraneità venne confermata grazie all’esame del DNA. La Scientifica infatti era riuscita ad isolare il DNA dell’assassino di Marghé dai tessuti ritrovati sotto le unghie, di conseguenza era impossibile sbagliarsi.
Come capita spesso in alcuni delitti, se la prima pista intrapresa si rivela errata, il caso si complica, le indagini si “raffreddano”, i testimoni non hanno la stessa sicurezza dei primi giorni. Intanto i mesi passano, ma i Carabinieri di Viareggio rimangono vigili nella speranza che una scintilla riaccenda il motore delle indagini. La scintilla arriva nell’agosto del 1998 a poco più di un anno dalla morte di Marghé. Nell’interrogatorio di alcune prostitute (allora, come adesso la prostituzione non è un reato) della variante Aurelia, in particolare di una prostituta brasiliana che lavorava vicino alla Fuloni, i Carabinieri apprendono che nell’anno precedente una banda di criminali albanesi dediti allo sfruttamento della prostituzione, aveva cercato di introdurre alcune loro connazionali a lavorare sulla variante sostituendole con le colleghe di Margherita.
La stessa brasiliana racconta che alcuni giorni prima della morte di Margherita aveva subito la sua stessa sorte, finendo malmenata da un esponente di questa banda che si vantava di esserne il capo. Un giovane albanese che aveva interessi nella spaccio di stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione, ed anche lui assomigliante all’identikit. Le Forze dell’Ordine sentono di aver imboccato la pista giusta e si attivano immediatamente, nonostante la testimonianza sia giunta in ritardo di un anno, forse per la paura che questa banda incuteva alle povere ragazze.
Il domicilio del sospettato si trovava a Val di Castello, pochi chilometri da Viareggio, purtroppo di lui non c’eranopiù tracce dal giorno della morte di Margherita, per sapere dove si trovava il Maresciallo Lazzeri e i suoi uomini sono costretti ad affidarsi ad un confidente che conosceva la banda.
Ancora una volta l’indagine è in stand by, si attendono notizie dall’informatore e magari si spera di individuare le tracce del cellulare del sospettato. Le notizie che giungono ai Carabinieri sono pochissime dato che dopo alcuni contatti dell’informatore, il cellulare del sospetto si spegne per sempre, pare però che sia ospite di un campo rom di Roma. Il Maresciallo chiede l’intervento dei colleghi della capitale per arrestare il piccolo boss albanese, ma per condurre un’operazione del genere ci vorrebbe un dispiegamento di forze enorme di cui non dispongono i Carabinieri del quartiere romano.
Il 10 marzo 1999 giunge un fax dai Carabinieri di Roma, un cadavere è stato rinvenuto lungo l’argine del Tevere, dalle indagini svolte se ne deduce che si trovava in acqua da almeno 30 giorni ed è stato ucciso da un colpo di pistola, il dna non lascia dubbi, si tratta del sospettato del delitto di Margherita Fuloni.
Le indagini compiono gli ultimi accertamenti, con molta probabilità il piccolo boss albanese dopo aver ucciso Margherita è fuggito a Roma da alcuni conoscenti e li si è introdotto nella malavita locale, ma la legge della strada è diversa nella capitale rispetto alla Versilia e non lascia scampo per il piccoli boss provinciali che pestano i piedi della persona sbagliata.
Ancora una volta è il DNA a confermare che si tratta dell’assassino della Fuloni.
Ma qual è il movente del delitto?
Il Maresciallo Lazzeri ancora oggi non può esserne sicuro al cento per cento, ma può ipotizzare un movente, la brasiliana che si prostituiva accanto a Marghé si era confidata con lei e si era rifiutata di spostarsi dopo il pestaggio, è possibile che proprio per questo la Fuloni sia stata presa di mira da questa banda di albanesi. Il suo ruolo di decana per le sue colleghe, il suo carattere altruistico potrebbe essere stato il motivo che ha scatenato l’ira di persone senza scrupoli.
Il Maresciallo Lazzeri e i suoi uomini hanno dimostrato in questa indagine di non darsi per vinti, nonostante il tempo che passa inesorabile, la strada per la verità è lunga e ha bisogno di molta pazienza. E’ vero, stavolta non sono riusciti ad assicurare dietro le sbarre il responsabile, come si dice nei romanzi gialli, ma hanno avuto la capacità di individuarlo e di poter mettere la parola fine a questo mistero.
Misteri di Lucca