• Demo
    "Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Ogni uomo è un criminale senza saperlo."

    Albert Camus

  • Demo
    "È un errore enorme teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il viceversa."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Ogni cosa deve essere considerata in relazione al contesto, alle parole o ai fatti."

    William Withey Gull.

  • Demo
    "Io l'ho visto. Con gli occhi della mente si vedono molte più cose di quel che non si veda con gli occhi del corpo. Basta appoggiarsi indietro, nella poltrona, e chiudere gli occhi..."

    Hercule Poirot

  • Demo
    "A giudicare per induzione e senza la necessaria congiunzione dei fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti.

    Alessandro Manzoni

  • Demo
    "Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Abbastanza spesso il criminale non è all’altezza della sua azione: egli la immeschinisce e la calunnia."

    Friedrich Nietzsche

  • Demo
    "Non è vero che i criminali siano uomini di intelligenza limitata; probabilmente, anzi, è vero il contrario."

    Michael Crichton

  • Demo
    "Quella dell'investigazione è, o dovrebbe essere, una scienza esatta e andrebbe quindi trattata in maniera fredda e distaccata."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Uccidere è un crimine. Tutti gli assassini vengono puniti, a meno che uccidano in gran numero di persone e al suono delle trombe."

    Voltaire

  • Demo
    "È un errore confondere ciò che è strano con ciò che è misterioso. Spesso, il delitto più banale è il più incomprensibile proprio perché non presenta aspetti insoliti o particolari, da cui si possono trarre delle deduzioni.."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    Non bisogna dire che un atto offende la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché offende la coscienza comune."

    Émile Durkheim

  • Demo
    "Fanno meno danno cento delinquenti che un cattivo giudice."

    Francisco de Quevedos

  • Demo
    "La vita non è altro che una lotta tra l’essere il criminale piuttosto che la vittima."

    Bertrand Russell

  • Demo
    "Il vero significato del crimine risiede nel suo essere un’infrazione alla fiducia della comunità del genere umano..."

    joseph Conrad

  • Demo
    Per prevalere, il crimine uccide l’innocenza e l’innocenza si dibatte con tutte le forze nelle mani del crimine."

    Maximilien de Robespierre

  • Demo
    "Per comprendere certi delitti basta conoscere le vittime."

    Oscar Wilde

  • Demo
    "Gli elementi che portano a risolvere i delitti che si presentano con carattere di mistero o di gratuità sono la confidenza diciamo professionale, la delazione anonima, il caso. E un po', soltanto un po', l'acutezza degli inquirenti."

    Oscar Wilde

Il furto dei gioielli del Maharaja

Questa storia sembra prendere direttamente inspirazione da un racconto di Sir Arthur Conan Doyle, con protagonista il suo più famoso investigatore, Sherlock Holmes, sempre impegnato a risolvere furti rocamboleschi e spettacolari.
Il furto avvenuto a Palazzo Ducale di Venezia è stato uno dei più ingegnosi che sia mai stato realizzato nel nostro paese. Teniamo ben presente il fatto che la mostra doveva essere posta in estrema sicurezza, sia per il valore dei beni esposti, sia per il luogo in cui venivano mostrati.

Eppure nonostante controlli di sicurezza, telecamere a circuito chiuso, allarmi ecc. in meno di 20 sec due ladri sono riusciti ad impossessarsi di alcuni gioielli della famosa collezione Al Thani.
Oggi i responsabili del crimine sono stati individuati dalle Forze dell’Ordine, tuttavia data la particolarità del caso e la rarità di un evento del genere, senza contare che ancora adesso la refurtiva non è stata trovata, abbiamo pensato bene di dedicargli un articolo.

Tesori dei Moghul e dei Maharraja : La collezione Al Thani

Le gemme e i gioielli che ad oggi fanno parte della collezione Al Thani, raccontano la tradizione orafa del subcontinente indiano abbracciando un periodo di storia che va dal XVI al XX secolo. La collezione conta circa 270 oggetti di pura bellezza e maestria artigiana appartenuti ai discendenti di Gengis Khan e Tamerlano, ai grandi Maharaja che, nel XX secolo, commissionarono alle celebri maison europee – come Cartier – gioielli d’inarrivabile bellezza e straordinaria modernità.
Fin dai tempi più antichi l’India è stata una terra ricca di Pietre Preziose e patria di una tradizione orafa di estrema raffinatezza. Gli indiani hanno da sempre apprezzaato gemme e pietre preziose. Scrittori come Varahmihir in “Vrihat Samhita”, Vagbhatt in “Ras Ratna Samuchchaya”, Thakkar Pheru in “Ratna Pariksha” discussero numerosi argomenti riguardanti le gemme millenni addietro. Le pietre venivano spesso utilizzati, non solo per scopi ornamentali, ma anche come rimedi medicinali. Le tecniche kundan e gli smalti (minakari in Hindi) furono una creazione degli orafi indiani in epoca antica.
Gli artigiani indiani erano considerati i più capaci al mondo proprio per la particolarità della lavorazione delle pietre, il loro metodo tradizionale di lavorazione viene chiamato metodo Kundan ed è usato per intarziare la superficie delle pietre. Dopo aver disegnato il motivo decorativo prescelto, tradizionalmente un arabesco o figure simboliche e propiziatorie, l’artigiano iniziava ad incidere la superficie del gioiello. L’abilità degli smaltatori (Minakar in Hindi) si espresse, e si esprime tutt’oggi, nell’accuratezza d’esecuzione e nella scelta del disegno, ispirato a miniature Moghul raffiguranti arabeschi, divinità o coppie principesche incorniciate da fiori e uccelli. Gli orafi usavano dell’oro massiccio e tempestavano il gioiello di pietre pregiatissime all’epoca: gli Smeraldi della Colombia (della miniera di Muzo), i Rubini di un rosso intenso delle miniere birmane (Mogok), gli Zaffiri di un blu profondo dello Sri-Lanka e le Perle del Golfo persico.

Per quanto riguarda i diamanti, non dimentichiamo che l’India è stata fino agli inizi del XVIII secolo, con il Borneo, l’unico paese produttore di Diamanti del mondo. Le miniere di Golconda, oggi esaurite, hanno prodotto in quantità e in qualità, dei diamanti che sono rimasti celebri: il Ko-I-Noor, il Regent, il Hope, il Gran Mogol, l’Orlov, e altri ancora, costituiscono oggi il fior fiore dei più grandi tesori del mondo.

Ad inizio del '900 furono molti i gioiellieri che si recarono “nella terra dei leggendari tesori” per acquistare gemme preziose e manufatti. Intrattennero rapporti diretti con i numerosi Rajas, loro potenziali clienti. In quegli anni l’impero Britannico delle Indie continuava ad essere un’inesauribile riserva di stimoli e di meraviglie. Più di 130 principi possedevano ancora sbalorditive collezioni di gioielli antichi.
Il primo ambasciatore inglese (1615-1619) presente alla corte del Gran Mogol fu Sir Thomas Roe . In una sua lettera al principe Carlo (il futuro Re Carlo I), del 30 ottobre 1616, parla dell’imperatore Jahangir:

Riguardo ai gioielli (una delle sue passioni), è un vero tesoro, compra tutto quello che trova e ammassa le pietre preziose come se preferisse accumularle piuttosto che indossarle”.

Di quell’epoca lontana, apogeo del savoir-faire degli orafi indiani, ci sono rimasti dei gioielli di un’estrema raffinatezza e incredibilmente preziosi. Questi gioielli sono stati conservati durante secoli dalle famiglie regnanti, ed esibiti in occasione di cerimonie particolari, come i matrimoni. Le celebrazioni delle nozze durano vari giorni: il fasto dei gioielli cresce con il progredire dei riti. I gioielli non vengono indossati solo dalle donne, ma anche dagli uomini. Anzi, questi ultimi spesso portano dei monili perfino più preziosi di quelli delle loro compagne!
Nella cultura popolare, alcuni tipi di gioielli riflettono il rango, la casta, la terra d’origine, lo stato civile o la ricchezza di chi li indossa. Metalli e gemme preziose, del resto, venivano utilizzati anche nell’arredamento degli ambienti di corte, nella confezione degli abiti cerimoniali, delle armi e del mobilio. La mostra di Venezia rappresenta un incredibile viaggio nell’universo dell’oreficeria indiana dal XVI secolo ai nostri giorni.

La Collezione Al Thani offre l’opportunità di ammirare quasi trecento pezzi provenienti dalla preziosa collezione creata da Sua Altezza lo sceicco Hamad bin Abdullah Al Thani, membro della famiglia reale del Qatar.


La mostra


L'esposizione realizzata al Palazzo Ducale di Venezia,
“Tesori dei Moghul e dei Maharaja: la Collezione Al Thani”, è stata curata da Amin Jaffer, conservatore capo della collezione Al Thani e da Gian Carlo Calza, studioso di arte dell’Estremo Oriente, sotto la direzione scientifica di Gabriella Belli.


Il percorso espositivo

Ecco una panoramica dei tesori dei Moghul: il visitatore potrà ammirare un incredibile assortimento di gemme dinastiche tra le quali spiccano due diamanti noti in tutto il mondo provenienti dalle leggendarie miniere di Golconda, l’Idol’s Eye (Occhio dell’idolo), il più grande diamante blu tagliato del mondo, e Arcot II, uno dei due diamanti donati da Muhammad ‘Ali Wallajah, nawab di Arcot alla regina Charlotte, moglie del re Giorgio III (1738-1820).
Questi due tesori trovano posto tra numerosi smeraldi e spinelli che spesso riportano incisi nomi e titoli dei sovrani che li possedettero.

La prima sezione della mostra a Palazzo Ducale si focalizza quindi sul gusto artistico Moghul e sulle connessioni con la cultura europea, instauratesi dal Rinascimento grazie ad un reciproco scambio di stili e tecniche. Il profondo legame tra Oriente e Occidente si evince soprattutto nella smaltatura, tecnica ispirata all’arte delle corti rinascimentali, utilizzata di frequente nella gioielleria indiana.

Nella seconda sezione, la mostra continua con suggestivi esemplari in giada e cristallo di rocca, materiali molto apprezzati alla corte Moghul. La cultura islamica considerava la giada una pietra propiziatrice di vittoria, oltre che uno ‘strumento’ per rivelare la presenza di eventuali veleni e per contrastarne gli effetti. In questa sezione potrete ammirare:

  • la Coppa per il vino dell’imperatore Jahangir, recante un’iscrizione in lingua persiana e la titolatura del monarca;

  • Il Pugnale di Shah Jahan (1620-1625), vero e proprio capolavoro dell’arte di corte Moghul: sulla lama sono iscritti i titoli dell’imperatore, mentre l’elsa in giada ha la forma della testa di un giovane;

  • Un’elegante coppa databile al tardo XVIII secolo con incisa una poesia dell’imperatore Qianlong, testimonianza che le giade indiane venivano molto apprezzate anche in Cina.

La terza sezione presenta al visitatore una selezione di manufatti provenienti da varie regioni del subcontinente indiano, realizzate con decorazioni a smalto policromo o con il kundan - tecnica che consente di montare gemme ed oro semplicemente avvolgendo il castone con lamine di oro puro che sviluppano un legame molecolare intorno alla pietra. In questa sezione spiccano:

  • Un set da scrittoio con portapenne e calamaio (zone del Deccan o India settentrionale, 1575-1600) in oro massiccio tempestato di pietre preziose. Manufatti del genere sono raffigurati in molti dipinti e in genere erano utilizzati dai funzionari di alto rango per scrivere i decreti imperiali;

  • L’ornamento del trono di Tipu Sultan a forma di testa di tigre, realizzato in occasione della sua ascesa al potere. Il trono, in oro tempestato di gemme, venne smembrato dopo l’uccisione di Tipu e la conquista di Seringapatam da parte delle forze britanniche nel 1799. Alcune parti del trono entrarono nella collezione della Famiglia reale britannica, mentre altre, tra le quali questo ornamento, sono state ritrovate solo di recente.

  • Una straordinaria collezione di oggetti a smalto verde con gemme incastonate, opera delle botteghe di Hyderabad e databili al XVIII secolo. Tali oggetti, simbolo dell’antica tradizione indiana, erano usati nei rituali e nel cerimoniale che accompagnava le udienze di corte.

 La quarta sezione pone l’attenzione sugli ornamenti e i simboli del potere per mostrare al visitatore, attraverso una selezione di affascinanti manufatti dal XVII al XX secolo, le manifestazioni del potere nell’ambito della corte, sotto l’influenza Moghul e poi della Compagnia delle Indie Orientali e dell’amministrazione britannica.

Splendidi collier di diamanti ed oggetti come la Spada del nizam di Hyderabad e il favoloso Baldacchino che faceva parte del Tappeto di perle di Baroda, sono tra le testimonianze più opulente. Il baldacchino, in particolare è decorato in argento, oro, vetro colorato, diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi e circa 950.000 perle.

Nella quinta sezione diventa protagonista l’Europa: una ricca selezione di gioielli commissionati dai principi indiani a prestigiose maison occidentali mostra gli eccelsi risultati raggiunti grazie alla contaminazione tra Oriente e Occidente. Tra le migliori testimonianze:

  • La piuma di pavone in smalto acquistata dal maharaja Jagatjit Singh di Kapurthala e creata da Mellerio detto Meller nella Parigi di inizio Novecento.

  • Le creazioni di Cartier per i maharaja, come il girocollo di rubini disegnato per una delle mogli del maharaja Bhupinder di Patiala, l’Occhio della tigre - un diamante color oro montato a ornamento per turbante - e una splendida collana in stile déco impreziosita dai rubini realizzate per il maharaja Digvijaysinhji.

Nell’ultima sezione della mostra, Palazzo Ducale a Venezia rende omaggio all’arte orafa contemporanea presentando alcuni gioielli indiani ed europei ispirati alla tradizione indiana: le opere di Viren Bhagat, che a Bombai coniuga materiali e tecniche moderne ad antiche forme e motivi decorativi, sono esposte accanto ai capolavori di Cartier e JAR con antiche gemme indiane.

 Al Palazzo Ducale di Venezia la Collezione Al Thani: dal 9 settembre 2017 al 3 gennaio 2018.

 

Il palazzo ducale di Venezia


Gioelli del maraja 1


Un'introduzione sul Palazzo inserita nella brochure del museo:

Capolavoro dell’arte gotica, il Palazzo Ducale di Venezia si struttura in una grandiosa stratificazione di elementi costruttivi e ornamentali: dalle antiche fondazioni all’assetto tre-quattrocentesco dell’insieme, ai cospicui inserti rinascimentali, ai fastosi segni manieristici. Esso è formato da tre grandi corpi di fabbrica che hanno inglobato e unificato precedenti costruzioni: l’ala verso il Bacino di San Marco (che contiene la Sala del Maggior Consiglio) e che è la più antica, ricostruita a partire dal 1340; l’ala verso la Piazza (già Palazzo di Giustizia) con la Sala dello Scrutinio, la cui realizzazione nelle forme attuali inizia a partire dal 1424; sul lato opposto, l’ala rinascimentale, con la residenza del doge e molti uffici del governo, ricostruita tra il 1483 e il 1565. L’ingresso per il pubblico di Palazzo Ducale è la Porta del Frumento (così chiamato perchè vi si trovava accanto l’”Ufficio delle Biade”), che si apre sotto il porticato della facciata trecentesca prospiciente il Bacino San Marco.

Palazzo Ducale piano terra

Piano Terra


Il Cortile

L’accesso al Palazzo avviene dalla Porta del Frumento, posta sull’ala sud più antica, a sinistra è l’ala verso la Piazzetta, rivolta a ovest, a destra l’ala rinascimentale, a est. Il cortile è chiuso, di fronte, da un quarto lato, a nord, in cui Palazzo Ducale confina con la Basilica di San Marco. Le due ali più antiche del palazzo presentano sul cortile facciate più semplici e severe, mentre l’ala rinascimentale ha una decorazione più ricca che culmina, sul fondo, con la Scala di Venezia per terra e per mare. La scala, ideata da Antonio Rizzo, è dei Giganti, antico ingresso d’onore, con le due colossali statue di Marte e Nettuno, scolpite da Sansovino nel 1565, simbolo della potenza contigua all’Arco dedicato al Doge Francesco Foscari (1423 – 1457) collegato alla Porta della Cartaattraverso l’androne Foscari, da cui oggi, nel percorso di visita, si esce dal palazzo. A destra della scala dei Giganti si apre il cinquecentesco Cortile dei Senatori,Sulla stessa ala del palazzo, ma dalla parte opposta rispetto alla Scala dei Giganti, si apre, sotto il porticato, la larga Scala dei Censori, costruita nel 1525 forse su progetto dello Scarpagnino. Da qui inizia oggi il percorso di visita ai piani superiori del Palazzo.

Palazzo Ducale primo piano

Primo Piano


Le logge

Il piano delle logge consente un giro lungo le tre ali est, sud e ovest del palazzo, con suggestivi punti di vista sul cortile e sulla Piazzetta San Marco. Sono le logge a conferire all’architettura del Palazzo quella straordinaria, caratteristica leggerezza. Oggi il piano delle logge ospita, nell’ala trecentesca, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Venezia, e, nell’ala rinascimentale, alcuni uffici della direzione dei Musei Civici veneziani , oltre a uno dei bookshop del Museo. Il percorso di visita prevede qui, provenendo dalla Scala dei Censori e dirigendosi verso la Scala d’Oro per salire ai piani superiori, il passaggio lungo l’ala rinascimentale. Qui si trovavano gli uffici di varie magistrature.

Per raggiungere la sala espositiva in cui si trovava la mostra, occorre passare dall'ingresso principale, per poi attraversare il cortile e raggiungere le scale dei Censori da cui si giunge al piano delle Logge.

Dal piano delle Logge per arrivare ai piani superiori e alla sala dello Scrutinio occorre utilizzare la scala d’Oro, sembra dalla piantina che sia possibile raggiungere le sale istituzionali anche dalla scala dei Censori e da alcuni ascensori.

Paolazzo Ducale second piano

 

Secondo piano

Le sale Istituzionali

Inizia con l’Atrio Quadrato il lungo percorso attraverso le Sale Istituzionali del Palazzo,dove si svolgeva ai massimi livelli la vita politica e amministrativa della repubblica, per secoli oggetto d’ammirazione: stupivano la sua immutabilità – peraltro mai codificata, mai posta per iscritto – e la sua efficienza capace di sfidare il tempo, garantendo la pace sociale. 

Atrio quadrato

Questa stanza aveva soprattutto una funzione di anticamera ai luoghi in cui si riunivano i più importanti organi di governo. Il decoro risale al XVI secolo, durante il dogado di Girolamo Priùli, raffigurato sul soffitto, in un dipinto di Tintoretto, ornato delle prerogative del potere e dei simboli di Giustizia e Pace. Agli angoli quattro scene bibliche, che alludono forse alle virtù del doge, e le stagioni, probabilmente opera della bottega di Tintoretto. Il programma celebrativo era completato da quattro dipinti di Mitologie che si trovano ora nella sala dell’Anticollegio. Al loro posto vi sono L’angelo annunciante ai pastori di Girolamo Bassano e opere di soggetto biblico dubitativamente attribuite a Paolo Veronese. 

Sala delle Quattro Porte

La sala aveva la duplice funzione di anticamera d’attesa e di passaggio e prende il nome da quattro splendide porte incorniciate da preziosi marmi orientali, sormontati ciascuno da un gruppo scultoreo che si riferisce all’ambiente al quale dà accesso.

Sala del Consiglio dei Dieci

Il Consiglio dei Dieci fu istituito in seguito alla congiura ordita nel 1310 da Bajamonte Tiepolo e altri nobili per rovesciare le istituzioni statali. Essendo stato costituito per giudicare gli aderenti al complotto avrebbe dovuto essere un organo provvisorio ma finì col diventare un organo permanente. Le sue competenze si estesero ad ogni settore della vita pubblica: ortodossia religiosa, politica estera, spionaggio, difesa dello Stato.

Sala della Bussola

Inizia da questa sala la serie degli spazi dedicati alle funzioni della Giustizia. La statua della Giustizia sormonta la grande bussola lignea che dà il nome alla stanza. L’ambiente in cui ci troviamo era utilizzato come anticamera per coloro che erano stati convocati dal magistrato Tutte le stanze in cui si svolgevano funzioni connesse alla giustizia erano collegate tra loro in senso verticale. 

L’armeria

Le sale dell’ Armerìa costituiscono oggi un prezioso museo di armi e munizioni di diversa provenienza La collezione d’armi, arricchita da preziosi cimeli, venne parzialmente dispersa dopo la fine della Repubblica. Oggi consta di oltre duemila pezzi. Dall’armeria, scendendo dalle scale del Censore si arriva al primo piano e alla Liagò.

Palazzo Ducale piano secondo

Liagò

Nel percorso di visita, si accede a questa stanza e alle seguenti dopo la visita al secondo piano, proveniendo dall’Armeria. Nel dialetto veneziano “liagò” significa veranda o terrazzo chiuso da vetrate. Questo ambiente serviva da passeggio e ritrovo per i patrizi negli intervalli delle frequenti sedute del Maggior Consiglio.

Sala del Maggior Consiglio

È la sala più grande e maestosa di Palazzo Ducale e, con i suoi 53 metri di lunghezza e 25 di larghezza , è una delle più vaste d’Europa. Qui si tenevano le assemblee della più importante magistratura dello stato veneziano: il Maggior Consiglio. 

La sala espostiva: Sala dello Scrutinio

L’immensa sala si trova nell’ala di palazzo Ducale edificata fra il terzo ed il quinto decennio del XV secolo, durante il dogado di Francesco Foscari (1423–1457). Il grande ambiente era stato dapprima destinato a ospitare i preziosi manoscritti lasciati dal Petrarca e dal Bessarione alla Repubblica (1468): e infatti anticamente questa sala era denominata della Libreria. Poi, nel 1532, venne deciso di tenervi pure gli scrutinii, ossia le operazioni di conteggio elettorale e/o deliberativo che assiduamente scandivano i ritmi della politica veneziana, basata – come è noto – su un sistema assembleare che aveva il suo epicentro nel vicino salone del Maggior Consiglio; sicché per un certo periodo qui convissero due diverse funzioni, quella culturale e quella politica. In seguito alla realizzazione della Libreria sansoviniana, questa sala rimase destinata unicamente alle operazioni elettorali, a cominciare dalla più importante, quella del Doge.
L’attuale decorazione fu realizzata – dopo un disastroso incendio che colpì quest’ala del palazzo nel 1577– tra il 1578 ed il 1615; il soffitto, assai ricco, venne disegnato dal pittore-cartografo Cristoforo Sorte. Nei diversi comparti sono riprodotti episodi di storia militare che esaltano le gesta dei veneziani, con particolare riferimento alla conquista dell’impero marittimo: fa eccezione solo l’ultimo ovale, che ricorda la presa di Padova, nel 1405. Le pareti raccontano le battaglie vinte dall’809 al 1656:

particolarmente suggestivo, su quella orientale, il dipinto con La battaglia di Lepanto di Andrea Vicentino, del 1571, contornato da altre scene di battaglia; la Vittoria dei Veneziani sui Turchi ai Dardanelli di Pietro Liberi, dipinto fra il 1660 e il 1665 e la Vittoria dei Veneziani sui Turchi in Albania di Pietro Bellotti, del 1663; anche

la parete ovest riporta episodi bellici, tra cui La conquista di Tiro di Antonio Aliense, del 1590 ca. e la Vittoria navale di Veneziani a Giaffa contro gli Egiziani di Sante Peranda, dipinto tra il 1598 e il 1605. Potrebbe stupire tutta questa celebrazione della virtù guerriera in una sala che, per la sua delicata funzione, avrebbe piuttosto richiesto una decorazione volta all’esaltazione della saggezza politica, ma non si deve dimenticare che l’ambiente fu “pensato” all’incirca nel lasso di tempo che intercorre tra la battaglia di Lepanto (1571) e l’Interdetto (1606): da un lato quindi, in un contesto di orgoglio per la vittoria ottenuta, dall’altro in un momento in cui, con particolare impegno, settori dell’aristocrazia veneziana cercavano di imprimere nuovo dinamismo alla politica della repubblica, sfidando la Spagna di Filippo II e la Santa Sede. Nel fregio sotto il soffitto continua la serie dei dogi iniziata

nell’attigua sala del maggior Consiglio, mentre la parete sud è decorata da un Giudizio Universale, di Jacopo Palma ilGiovane, dipinto fra il 1594 ed il 1595, idealmente collegato al Paradiso del Maggior Consiglio. La sala è chiusa a nord da un maestoso arco trionfale. Opera di Andrea Tirali, venne eretto in onore del doge Francesco Morosini Peloponnesiaco, morto nel 1694 durante la guerra in Morea.

 

L'esecuzione del furto


Il giorno
3 gennaio 2018, (ultimo giorno della mostra, mercoledì) in un orario approssimativointorno alle 10.00, due individui di fronte al pubblico presente nella sala dello Scrutinio, aprono la teca che contiene alcuni gioielli in esposizione e se ne impossessano. L’allarme, a detta delle forze di Sicurezza, si attiva in ritardo e i due malviventi riescono a guadagnare l’uscita e a far perdere le proprie tracce.
I ladri con tutta probabilità sono entrati dall’ingresso principale assieme al pubblico, come dei normalissimi visitatori,alle 9.55, per poi andarsene da “La Porta della Carta”
I tesori trafugati sono due paia di orecchini e una spilla, il valore doganale dichiarato è valutato in 33.000 Euro, ma secondo gli esperti il loro prezzo al mercato nero potrebbe raggiungere la cifra di 2-3 milioni di euro.
I due ladri sono riusciti a volatilizzarsi, però le telecamere di sorveglianza li hanno ripresi, i due indossano dei cappelli, ma niente che può nascondergli completamente il volto. Il filmato è visualizzabile all’interno dell’articolo ed è possibile notare la facilità e la tranquillità con la quale i due individui agiscono in un brevissimo tempo, che non supera il minuto, aprono la teca e si impossessano della refurtiva .

 

Le indagini successive

Il furto viene individuato nel momento in cui scatta l’allarme della teca violata. Come già precedentemente fatto presente, l’allarme scatta in ritardo e con tutta probabilità i malviventi a quel punto si sono già dati alla fuga. L’allarme viene girato alla sala operativa della Questura e immediatamente giunge sul posto la Squadra Mobile del Commissariato di San Marco.
Dai primissimi accertamenti e grazie alle telecamere di sorveglianza, vengono individuate due persone sospette che si trovavano vicino alla teca alcuni minuti prima che si attivasse l’allarme. L’atteggiamento è inequivocabile, nel mentre uno di loro si allontana per tenere sotto controllo che non sopraggiungesse nessuno, l’altro con semplicità apre una teca e ruba alcuni oggetti di modeste dimensioni che vi sono contenuti, una spilla e due orecchini. All’interno della teca è presente anche una collana di notevole grandezza (e valore), forse proprio a causa delle sue dimensioni è ignorata dai ladri.Da indiscrezioni si viene a sapere che, al momento del furto la teca era aperta, con tutta probabilità è stato un complice ad aprirla nelle ore precedenti.

ladri gioielli maraja

In tutto i due sconosciuti sono rimasti all’interno del Palazzo Ducale per 13 minuti, dal tempo di esecuzione del furto, la rapidità della fuga e l’attenzione ai sistemi di sicurezza, gli inquirenti sono sicuri di avere a che fare con dei professionisti.
La velocità con cui è stata aperta la teca, il fatto che l’allarme sia scattato solo quando i ladri erano già fuggiti, fa presagire la possibilità che vi sia una “talpa” tra chi lavora all’interno della mostra.

Le prime dichiarazioni per la stampa del questore vicario di Venezia, Marco Odorisio, sono le seguenti:

"Forse un sopralluogo dei ladri, probabilmente non è un gesto estemporaneo: pensiamo che ci possa essere stato un sopralluogo. Le teche dovevano essere inaccessibili e proprio per questo dobbiamo capire i punti di debolezza per poter valutato come i ladri abbiano potuto commettere il furto".

Ci sono tanti tasselli da mettere in ordine. Intanto è scatta un'azione ad ampio raggio con l'impiego della squadra mobile e dello Sco di Roma. L'indagine è un classico mosaico, dobbiamo partire dai particolari per poi allargarci e risalire a che ha commesso il furto; è prematuro parlare di autori italiani o stranieri stiamo visionando anche per questo le telecamere”.

A cui seguono le parole della Fondazione Musei Civici di Venezia, che confermano la notizia del furto:

“Gli oggetti in questione sono di recente fattura e di valore marginale rispetto agli altri gioielli di maggiore valore storico esposti. I preziosi erano custoditi in una vetrina di sicurezza, facente parte dell’allestimento, progettato dalla Fondazione Al Thani e già utilizzato in alcune tappe precedenti dell’esposizione. Grazie al tempestivo intervento dell'apparato di sicurezza operante all'interno delle sale espositive, e la cui definizione è stata condivisa fin dall’inizio con la Questura di Venezia, la Fondazione Musei Civici è stata in grado di fornire alle forze dell'ordine tutti gli elementi necessari per una rapida soluzione dell'indagine in corso. Per agevolare queste operazioni la mostra è stata chiusa pochi minuti dopo l’accaduto, anticipando la chiusura definitiva prevista nella stessa giornata”.

 

L'individuazione dei responsabili

Il giorno 05.09.2018, viene data notizia dell’individuazione dei responsabili del furto, secondo gli organi di investigazioni una banda di Serbi e Croati hanno partecipato al furto. Si tratta di una banda specializzata in questo genere di refurtive e con tutta probabilità hanno già operato in Italia e all’estero, tanto che tra i reati viene ipotizzata anche l’associazione a delinquere. E’ certo l’impiego di una “Talpa”, proprio perché la teca sembra sia stata lasciata aperta da qualcuno.

La refurtiva non è stata recuperata, si parla della possibilità che si tratti di un furto su commissione, però le Forze dell’Ordine dicono che certi oggetti sono difficili da piazzare poiché fanno parte di una famosa collezione privata. Sarebbe possibile disfarsene rapidamente fondendo gioielli e oro ma in tal caso il loro valore sarebbe estremamente più basso.

 

La sparizione della refurtiva

Tuttavia la refurtiva è ben lontana dall’essere recuperata, ma proprio il tipo di obiettivo risulta essere importante ai fini dell’indagine. La refurtiva consiste in una spilla e due orecchini, oggetti di piccola taglia facilmente occultabili. Nella teca che conserva i gioielli, al momento del furto è presente anche una collana di alto valore che però non è stata toccata, con tutta probabilità i ladri sapevano bene quale teca aprire e sapevano anche che non sarebbero stati in grado di portarsi via anche la collana senza essere notati. Da ciò si può dedurre che i ladri hanno scelto attentamente gli oggetti da rubare optando per quelli di più modeste dimensioni (o quelli commissionati). La scelta degli obbiettivi denota premeditazione nell’atto. Del resto anche sapere che l’allarme sarebbe entrato in funzione in ritardo, fa immaginare ad un’attenta pianificazione dell’azione criminale.
Orecchini e spilla sicuramente di pregio e di estremo valore, interessante è sapere il
valore doganale stimato sui 30.000 euro, fatti d’oro e tempestati di diamanti. Certo il loro valore come gioielli dei Moghul è nettamente superiore a quello dichiarato alla dogana, ma si tratta di oggetti artistici il cui valore finale è difficile da stimare.
Sicuramente il valore di questi oggetti è nettamente superiore a 30.000 euro, tanto che vengono stimati tra l’uno e i due milioni di euro (si tratta di una stima approssimativa). Allora occorre a questo punto fare delle considerazioni:

  • Se il valore stimato degli oggetti è di 30.000 euro il colpo frutterebbe molto poco, quasi quanto una rapina ad un bancomat, anzi, il bancomat potrebbe fruttare di più. Inoltre l’assalto sarebbe più sicuro e dai numerosi furti che si verificano è quasi certa l’impunità se non si è colti in flagranza di reato.

  • Fondere i gioielli per poi venderli a peso, forse non renderebbe nemmeno 30.000 euro, la particolarità di questi gioielli è dovuta dalla fine fattura di lavorazione attraverso il metodo Kundam. Fonderli equivarrebbe a distruggere completamente l’opera per salvarne le materie prime che comunque non sono assolutamente il centro del loro valore.

  • Il furto in uno dei musei più famosi d’Italia è particolarmente ostica come azione criminale, occorre pianificare attentamente ogni via d’ingresso e fuga, sapere quando agire e come farlo. La spettacolarità dell’azione e l’attenzione mediatica che si genererebbe, porterebbe sicuramente ad una minuziosa indagine delle Forze dell’Ordine, con la conseguenza di correre un serio rischio di essere individuati (come è avvenuto) e arrestati. Non ci riferiamo solamente all’arresto in flagranza di reato, possibile se si considera che la pianificazione ha previsto il furto durante l’orario di visita, ma anche nelle indagini successive, dato che i ladri si immagineranno sicuramente della presenza di telecamere di sorveglianza all’interno del museo.

  • La refurtiva facendo parte di una collezione privata è difficilmente piazzabile sul mercato nero. Le opere d’arte sono tracciate e non possono essere rivendute in un futuro se sono state refurtiva di un furto.

La fusione degli oggetti o la loro vendita al mercato nero non sembra essere l’obiettivo dei ladri, perché nel primo caso non renderebbe abbastanza, nel secondo difficilmente si presenterà un compratore disposto a pagare una cifra alta, perché sono oggetti che fanno parte di una collezione privata e quindi facilmente riconoscibili.
Teniamo in considerazione inoltre che: l’azione criminale, i vari movimenti dei ladri sulla scena del crimine, l’obiettivo del furto, la velocità di esecuzione e molto altro, ci da la sicurezza che
chi ha progettato il tutto sia un esperto nel furto di opere d’arte e gioielli in particolare.

Se le cose stanno in questo modo è possibile che il furto fosse stato commissionato su richiesta e chi l’ha richiesto sapeva della specializzazione nel furto di opere d’arte da parte di questa gang.
Con un furto commissionato è giustificato il rischio e l’attenta pianificazione, il valore del bene rubato è stato stabilito precedentemente e gli esecutori del furto hanno avuto modo di accordarsi.

 

Le ipotesi e gli ultimi aggiornamenti


La banda e la Talpa

I quotidiani di informazione nazionale dopo il furto, hanno calato un silenzio stampa sul caso, fino al 6 settembre, giorno in cui viene pubblicata la notizia sull’individuazione dei responsabili.
Tra le varie testate è possibile raccogliere delle informazioni in più, la banda è composta da sei persone di origine Serba e Croata, la gang ha avuto la possibilità di colpire grazie al lavoro di una “talpa” interna al servizio del museo.
Proprio questa ultima considerazione è già stata presa in esame fin dall’inizio delle indagini ed è quasi una certezza per gli inquirenti.
Sempre grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza catturate prima del furto, gli investigatori individuano una donna che risulta essere veneziana, con un’ottima conoscenza della città e nessun precedente penale. Questo sarebbe l’identikit della talpa o basista che ha aiutato la banda serbocroata, non è ancora chiaro però se il soggetto sia stato identificato.
Per riuscire ad aprire la teca prima dell’accensione delle telecamere, la talpa dove per forza far parte dello staff, questa è l’ipotesi seguita dalla polizia fin dalle prime ore in cui è avvenuto il furto e per questo sono stati passati al setaccio i profili di ogni persona impiegata a palazzo Ducale il 3 gennaio e nelle giornate precedenti

 

La banda << Pink Panther >>

 

Chi sono i Pink Panther?

La definizione che più si avvicina a descrivere la gang dei Pink Panther è quella di “collettivo di rapinatori”, un’associazione criminale nata in ex Jugoslavia nel 1993 di cui fanno parte ex militari appartenenti a gruppi armati operativi durante la Guerra dei Balcani. A grandi linee sono specializzati nei furti di gioielli, ma dato il grande numero degli appartenenti alla banda, i furti hanno gli obiettivi più disparati.
Il nome è preso direttamente dai fortunati lungometraggi con protagonista Peter Sellers, a soprannominarli così furono gli agenti di Scotland Yard nel 2003 a Londra: seguendo la donna di uno dei rapinatori, gli uomini di Scotland Yard trovarono nella sua casa una pietra preziosa nascosta in una confezione di crema per il viso, proprio come nel film del 1963 firmato da Blake Edwards.
Alla banda piacque il soprannome, tanto che nella loro rapina successiva, a Zurigo, indossarono magliette rosa.
Alcuni capi storici della banda sono stati arrestati negli ultimi anni, Dusko P., 42.enne serbo indicato dagli inquirenti della Fedpol svizzera, come uno dei padri storici delle Pink Panthers, nonché protagonista del colpo spettacolare al Wafi Mall di Dubai nel 2007.

Ma il capo indiscusso si rivelò essere Dragan Mikic arrestato nel 2003 e poi fuggito a seguito di un’evasione spettacolare orchestrata dai complici.

I Pink Panther sono ritenuti responsabili anche del furto di gioielli all’Hotel de Pourtales di Parigi, appartenuti a Kim Kardashian, a parlarci delle gesta di questa banda è l’ex membro Palve “Punch” Stanimirovic, che nel 1971 derubò il museo di Miami con YACS (jugoslavi, albanesi, croati e serbi) e lanciò il trend delle squadre di ladri:

“La gente pensa sia una organizzazione di 400 persone con un solo capo, Dragan Mikic, 33 anni come Kim Kardashian, e già stato in galera. Del gruppo fanno parte criminali montenegrini, bosniaci, croati e serbi. C’è anche qualche ex militare jugoslavo. Molti sono ex miliari, “ronin”, come samurai.”

“Non hanno un leader né un maestro, usano solo la loro intelligenza. Si comportano come nei film. Nessuno sarebbe così folle da andare a Parigi ora, dopo gli attacchi terroristici. Troppi controlli. O i rapinatori stavano già a Parigi oppure sono arrivati in una situazione protetta, viaggiando con il “fashion show”, ad esempio. Kim Kardashian era un bersaglio facile, molto attiva sui social. E’ lei ad aver fatto pubblicità ai suoi gioielli. Inoltre la gente di servizio in Europa è tutta serba e croata. Sono camerieri, portieri, sarti. Hanno amici, basta una telefonata. Sapevano che Kim avrebbe alloggiate lì e sapevano che non avrebbe perso la settimana della moda.”

“La gang ha preso refurtiva da 9 milioni di euro, ma sapete quanto va ad ognuno? Tra i 200.000 e i 300.000. Fossi in loro oggi sarei a Parigi o a Montecarlo. Non lontano. E’ così che operano. In uniforme, due entrano e tre restano fuori. Si scappa in bici, agile, senza targa, molto parigina. Al Carlton Hotel di Cannes rubarono gioielli per 60 milioni di dollari. Entrarono armati fino ai denti e non spararono un colpo. E’ tutta recita, tutto spettacolo. E’ questo che li rende leggendari”.

“Non sono sempre gli stessi. Cambiano in continuazione. Una volta che hai i soldi, sparisci per anni, ti rilassi. Originariamente erano gli “YACS”, nati a New York, rispediti in Europa divennero “Pink Panthers”. Hanno solo cambiato nome. Io operavo negli anni ’90, mio padre prima di me. Ero il membro più giovane e più in vista”.

“Tutti i membri hanno studiato all’università, parlano fluentemente più lingue, sono atleti, con una passione particolare per il calcio. Sanno come amalgamarsi, come sembrare gente del posto. Non uccidono, non vogliono ferire nessuno. Ci mettono due settimane a mettere a segno il piano e non si separano mai, finché il lavoro non è completato. Si conoscono dai tempi dell’esercito o della galera. Non lo fanno per la notorietà, ma per i soldi. E i soldi stanno a Dubai, Tokyo e Parigi”.

Le Pink Panthers hanno accumulato un patrimonio che secondo stime aggira intorno ai 200 milioni di dollari, frutto di alcune fra le più spettacolari rapine che il mondo criminale e non ricordi:

La rocambolesca fuga in motoscafo dopo un colpo a Saint Tropez in una mise turistica (calzoncini corti e camicia hawaiana ben fiorita) per confondersi fra gli avventori del posto. La vetrina di Dubai sfondata con una limousine nel 2007, un colpo che ha fruttato da solo 11 milioni di dolari e che è stato realizzato in pochissimi secondi. La rapina più cruenta attribuita a loro si è svolta con l’utilizzo di bombe molotov e mazze da baseball.
Durante tutti i colpi, anche quelli più concitati e pericolosi, nessuna persona è stata oggetto di violenza fisica.
La Gang dei Pink Panther con tutta probabilità è responsabile del furto dei gioielli del Marahaja a Palazzo Ducale di Venezia.

 

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